Anno 0 Numero 05 Del 27 - 5 - 2007
Pesca col retino
Editoriale

Mariateresa Surianello
 
Siamo giunti alla conclusione di questa lunga kermesse del teatro indipendente di area romana. E mentre scivoliamo verso l’undicesimo giorno di programmazione, il pensiero di chiudere uno spazio di aggregazione è reso meno triste dalle relazioni che in questo tempo effimero della festa hanno trovato nuova linfa vitale proprio nel mostrarsi tali e in tutta la loro incidenza sul presente. L’occasione per ribadirne l’esistenza e considerare virtuose queste liaisons è offerta dal quarto e ultimo appuntamento extraspettacolare di Teatri di vetro, Pensare in rete, che ha raccolto alla Casa del Municipio Roma XI – evitiamo l’inglesismo che non rende certo più dinamica e accessibile ai cittadini questa sala asettica e un po’ retrò, nonostante la pavimentazione a sanpietrino – alcune esperienze di area metropolitana della Capitale e non solo, comunque tutte riconducibili all’ambigua e multiforme espressione del titolo. A cominciare dal reticolo intessuto dagli stessi Teatri di vetro in questa sua prima edizione, che «potrebbe continuare» – si auspica in apertura di convegno Roberta Nicolai (regista di Triangolo Scaleno e anima direttiva della fiera/mercato). Al di là delle selezioni, che avrebbero suscitato malumori tra gli esclusi e che comunque hanno portato a proporre oltre un terzo delle richieste pervenute al Triangolo, la stragrande maggioranza degli spettacoli inseriti nel programma di Teatri di vetro era circolata quasi esclusivamente attraverso spazi romani occupati e autogestiti. Un dato questo inconfutabile e da cui ripartire per una riflessione finalizzata alla creazione di connessioni extraterritoriali e da utilizzarsi come risultato d’eccellenza in ogni trattativa con le Istituzioni.

E’ quindi evidente l’esistenza di una civiltà teatrale – quello che qui si è chiamato teatro indipendente – che nelle differenze di linguaggi e nelle singole specificità artistiche, forse inconsapevolmente, fa sistema a sé stante e va ad alimentare l’altro sistema, istituzionalizzato. A fronte di un investimento pressoché nullo, il Teatro italiano può attingere – al bisogno – freschezza e vitalità in un bacino sotterraneo ribollente. Ciò è avvenuto, e costantemente avviene, attraverso un processo di riconoscimento reciproco di una serie di organismi teatrali, sedimentatosi in una sorta di zoccolo indurito da condizioni esistenziali in perenne deficienza di risorse economiche e di spazi. Due bisogni primari alla creazione artistica, che vengono soddisfatti solo all’interno della rete dei centri sociali. Da questi contesti, nel 2002, dopo il G8 di Genova, era uscita l’esperienza ormai esaurita di Sabir (15 gruppi, tutti attivi nei centri sociali) – ricorda Alessandra Ferraro di Margine Operativo, in quel periodo occupante al Forte Prenestino.

Negli ultimi anni, a Roma, si utilizza l’acronimo ZTL (zone teatrali libere), rubato in maniera antifrastica al più noto, ma appunto di divieto (zona a traffico limitato) nel centro città, per identificare spazi sempre a rischio di chiusura, nei quali si produce e circola la cultura contemporanea. La chiusura è avvenuta per Astra Teatri e Rampa Prenestina, ideatori del progetto ZTL nel 2004 assieme a Rialto Santambrogio, Strike e Furio Camillo (solo questo è un “vero” teatro). Ma il bisogno di spazi porta sempre a nuove occupazioni e a questi tre si sono aggiunti il Kollatino Underground e l’Angelo Mai nel rione Monti (purtroppo, sgombrato la scorsa estate!). Ecco, siamo convinti che le ZTL vadano moltiplicate e preservate da qualsiasi intromissione istituzionale, che non sia altro dal sostegno finanziario e strutturale non sporadico. Considerato che proprio a questo bacino le istituzioni attingono per donare ossigeno alle asfittiche proposte del teatro finanziato, ogni volta che c’è da riempire grossi contenitori culturali (sul modello delle notti bianche, giusto per essere chiari). Le ZTL sono mature e si interrogano anche sui modi per intercettare nuovo pubblico e nuovi osservatori critici, un progetto da svilupparsi attraverso il web che stanno sollecitando Giulio Marzaioli e Riccardo Frezza.

E’ necessario conservare la piena libertà di azione culturale, trovino le istituzioni – è loro compito – le modalità per una pratica di affiancamento attenta e “libertaria” - che parola d’altri tempi! Non crediamo che l’acquisizione di pari dignità, raggiunta dalle Sirene (l’associazione di associazioni occupanti del Teatro del Lido, prima della ristrutturazione da parte del Comune) nella gestione dello spazio di Ostia sia altro che un contentino, da non doversi riprodurre in contesti simili.

E’ curioso questo aspetto, all’apparenza, maternalistico delle istituzioni. La buona madre di famiglia accompagna i figli fino a renderli indipendenti, qui invece si assiste al procedimento inverso, quando a uno spazio occupato e autogestito viene riconosciuto il suo valore culturale, esso cade irrimediabilmente sotto l’ala protettiva delle Istituzioni. Se va bene, altrimenti viene proprio fagocitato. Attenzione, un banco di prova per una nuova piattaforma di rapporti potrebbe sostanziarsi nell’assegnazione e nella gestione dei famosi centri per l’arte contemporanea (saranno chiamate così le 10-11-15 strutture?), dei quali comunque da quest’inverno non si hanno più notizie.