La copertina di questa settimana è tratta dal libro
La copertina di questa settimana è tratta dal libro "Over, American Way of Life" di Alex Maclean recensito nell'articolo di Graziano Graziani

Anno 2 Numero 09 Del 9 - 3 - 2009
Eco-logica
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
C’è una logica inversa che porta il governo italiano ad inciampare sui temi centrali dell’ecologia. Una logica che con tutta probabilità è maggioranza nel paese. Gli italiani, infatti, negli anni hanno dimostrato di esserne del tutto soggiogati, come tra l’altro accade nella quasi totalità del mondo occidentale. Tale logica è quella che vede l’ecologia dal punto di vista del consumismo e dunque considera la prima – anche nel caso si voglia lavorare a vantaggio di essa - soggetta agli effetti del secondo. Sono figlie di questa mentalità le lunghissime transizioni per superare, almeno nel mondo automobilistico, il petrolio, pienamente obsoleto ormai da oltre un decennio, la mancanza di una legislazione chiara in materia di smaltimento dei rifiuti già dalla produzione domestica, la voglia di tornare al nucleare e infine l’ultima «rivoluzione» (ipse dixit) berlusconiana, quella edilizia di questi giorni. Il premier, infatti, ha deciso qualche giorno fa (per coincidenza lo stesso della scarcerazione di Alfredo Romeo) di dare una risposta alla crisi economica liberalizzando drasticamente il settore delle costruzioni. Secondo il governo, a breve sarà possibile costruire o aumentare le cubature senza la «licenza» concessa dalle autorità, ma con una semplice «perizia giurata» firmata da un tecnico di fiducia del costruttore. A motivare tale scelta è stata la necessità di far ripartire il motore economico del paese. Una motivazione di tutto rispetto in tempo di crisi, ma che, specie nei metodi, rischia di dare una risposta, in realtà, inattuale.

Le conseguenze di quasi un secolo di consumismo hanno portato il cittadino ad acquisire una forma mentis per cui se qualcosa non basta bisogna produrne di più per soddisfare il fabbisogno. Serve più energia perché si abbassino i costi, allora produciamo energia nucleare. Servono più case, allora liberalizziamo le costruzioni. Questa attitudine divenuta endemica, tuttavia produce mostri. In questo paese, infatti, la mancanza di una politica rigorosa in termini di edilizia ha portato alla distruzione per cementificazione (non parliamo dell’abusivismo) di intere aree, alla costruzione delle nostre periferie metropolitane costituite da edifici lager dalla scarsissima efficienza energetica, fino ai panorami metropolitani del Sud, in cui la combinazione fra carenze legislative e corruzione amministrativa ha portato ad una vera eccellenza nella devastazione del territorio per mezzo di intere aree di massimo impatto ambientale. E più si è costruisce in questo modo più aumenta il fabbisogno energetico rendendo la corsa al nucleare una conseguenza inevitabile. Un mostro ne chiama un altro in una reazione a catena di cui conosciamo ormai con una certa sicurezza il destino.

Ad onor del vero va detto che la nuova «rivoluzione» nelle costruzioni prevede incentivi per la realizzazione di nuovi edifici costruiti secondo le regole della bioedilizia e del risparmio energetico, ma è sicuramente difficile credere che ciò basti ad evitare un’ecatombe se si considera che per un mercato in crisi resta comunque una operazione antieconomica edificare in questo modo, tanto più che gli incentivi già in vigore non sono sembrati in questi anni particolarmente appetibili in termini di grandi numeri dai costruttori.

Risulta dunque complicato credere che una «rivoluzione edilizia», se non guidata da una forte e chiara volontà politica, ma piuttosto da una idea di liberalizzazione, possa produrre dei risultati diversi da quelli di una “calata dei Lanzichenecchi”. E’ d’altronde un film già visto, in cui una ulteriore indebolimento legislativo potrebbe solo aggravare la malattia del paese, rendendolo sempre più vulnerabile, bisognoso di sempre più energia per alimentare i nuovi “palazzoni di cemento”, di più condoni per risolvere tutte le anomalie che una “liberalizzazione” necessariamente comporta, di più spazi da cementificare, di più automobili per percorrere le distanze fra i centri lavorativi e i nuovi quartieri dormitorio venuti su senza lo studio di collegamenti efficienti. E’ una tendenza alla distruzione che non necessariamente è insita nel concetto di “liberalizzazione”, tuttavia va considerato che certe ricette vanno bene per alcuni malati e male per altri.  Nell’Italia odierna, l’Italia dei Romeo, dei Coppola, dei Caltagirone, degli Scarpellini, dei Toti e compagnia bella, è possibile che la medicina sbagliata amplifichi gli effetti di una malattia già degenerata, invece di invertirli.

Perché tale inversione possa realizzarsi, invece, è necessario prima di tutto invertire la logica cui si faceva accenno all’inizio del ragionamento. E’ arrivato il momento, quindi, di guardare il consumismo dal punto di vista dell’ecologia, rendendo il primo soggetto agli effetti della seconda. In questo senso è necessario fissare un obiettivo politico concreto e cercare di perseguirlo attraverso l’istituzione di norme chiare e ferree, capaci di agire prima di tutto sul costume di questo paese perché si possa raggiungere un livello ottimale di abitabilità del rispetto del territorio e delle generazioni future.
Tale obiettivo deve tener conto di molti fattori, primo fra tutti quello della produzione energetica. Oggi, infatti, l’inadeguatezza delle fonti rinnovabili (anche in proiezione ventennale) è determinata non tanto dalla loro intrinseca incapacità a crescere, ma dal rapporto fra le loro potenzialità di risposta e la mole generale del consumo. La differenza fra questi due fattori è tuttavia che il primo risulta fisso, mentre il secondo è variabile, ossia può crescere in base a politiche dissennate o  può calare drasticamente a seguito dell’adozione di politiche responsabili.  Va da sé che ad un calo generalizzato del consumo corrisponda un aumento proporzionale della percentuale con cui le fonti rinnovabili riescono a coprire il fabbisogno.
Messa così la cosa sembra addirittura semplice, ma in gioco non c’è solo un rapporto di valori matematici, questi, infatti, rappresentano realtà complesse e radicate nel comportamento singolo degli italiani. La mole del consumo energetico di questo paese è una fotografia della sua anima, dei suoi desideri e comportamenti, della sua atomizzata volontà di potenza, a suo modo è una sorta di carta d’identità. Per cambiarne il valore bisogna cambiare l’identità degli italiani.
Nell’ultimo padiglione italiano d’architettura alla Biennale di Venezia (di cui abbiamo dato conto nei numeri 1/32 e 1/37) non c’erano ipotesi di nuove costruzioni, ma ipotesi di nuovi cittadini, di nuovi valori del co-abitare.
E’ questa la «rivoluzione» di cui abbiamo bisogno, non una «rivoluzione edilizia», ma una “rivoluzione  culturale” che contemporaneamente determini l’edilizia ed al contempo nasca da essa.

P.S.
Qualche mese fa, una sentenza del tribunale di Maidstone, in Gran Bretagna ha assolto un gruppo di attivisti di Greenpeace che aveva sabotato la ciminiera di una centrale a carbone nel Kent. La motivazione della giuria è stata che «la difesa del clima non è un reato» e che gli attivisti avevano agito «in difesa del bene comune», per tanto la loro azione non poteva essere considerata criminale perché il danno da loro provocato era volto ad impedire un danno assai più grave nei confronti dell’ambiente. Una sentenza in parte paradossale, in parte pericolosa, ma che può far riflettere sul ruolo dei cittadini nei confronti dello Stato. Che cosa accadrebbe, infatti, se una parte di italiani decidesse di sabotare pacificamente uno Stato che agisce in pieno disaccordo con la difesa dell’ambiente? Sarebbero assolti quegli italiani? Saremmo assolti?