"Kugelmugel" in un bozzetto di Edwin Lipgurger
La bandiera dell'NSK State
La bandiera dell'NSK State

Anno 1 Numero 41 Del 01 - 12 - 2008
Lo Stato dell’Arte
Dal Kugelmugel del 1984 alla Biennale di Venezia 2007 tutte le nazioni utopiche create dalla volontà dell’uomo

Graziano Graziani
 
L’arte ha a che vedere con l’utopia? La prima e più immediata risposta è sì, certamente, l’arte spesso immagina mondi altri, traccia prospettive per una migliore esistenza e convivenza tra gli uomini, e anche quando è impegnata a scavare nel marcio della realtà, l’arte parla ovviamente per antifrasi del suo superamento, e dunque di utopia. Ma volendo estendere il ragionamento, si può dire che l’arte stessa è già di per sé un concreto nonluogo (u-topos), una bolla spazio-temporale che si apre nel buio di una sala teatrale o di un museo, o che si materializza con le modalità impreviste della performance – e lo è tanto più quando forza le logiche e i tempi della produzione, realizzando se stessa anche in assenza di mezzi.
Sarà per questo che alcuni artisti europei hanno dato vita, in luoghi e tempi diversi, a delle utopie concrete, ragionando attorno al declino inesorabile dell’idea di nazione con lo scopo di dare vita a delle piccole entità statuali in grado di realizzare la loro personale utopia, e di essere al contempo esse stesse un progetto artistico.
Uno dei primi casi risale addirittura agli anni Ottanta, anche se la genesi di questa particolare utopia è del tutto casuale, o meglio consequenziale allo stato di “emergenza” vissuta dal suo creatore e dalla sua opera.

Edwin Lipburger è un artista austriaco che ha speso buona parte della sua carriera a riflettere sul concetto di sfera. Secondo Lipburger tutto è riconducibile a questa forma, e tutto è in perenne rotazione, come i pianeti. Perché allora non vivere dentro delle sfere? Dal 1971, Lipburger comincia a progettare delle abitazioni sferiche, il cui primo prototipo vedrà la luce soltanto nel 1984: è Kugelmugel – letteralmente “la sfera sulla collina”, installata dal suo creatore in una fattoria di Katzelsdorf. Si tratta di una costruzione di otto metri di diametro, realizzata in legno e rivestita di pannelli di zinco. Ma Lipburger ha realizzato la sua opera senza autorizzazione, e incappa nella sanzione delle autorità locali che ordinano l’immediata rimozione dell’abitazione/opera d’arte.
Per salvare il suo progetto, Lipburger decide di dichiarare la sua sfera una repubblica indipendente, soggetta a una sua propria giurisdizione. Il suo progetto artistico si amplia, e l’artista comincia a stampare passaporti della Repubblica di Kugelmugel, di cui si proclama presidente. Ma questa mossa non basta a fermare le autorità austriache, che all’ostinazione di Lipburger rispondono con le maniere forti: dopo varie pressioni, e mentre la sua repubblica comincia a suscitare l’interesse dei giornali, l’artista finisce persino in prigione. A risolvere la controversia sarà il governo di Vienna, che dopo aver porto le sue scuse alla sua controparte secessionista, decreta lo spostamento della struttura nel Prater, dove si trova tutt’ora.

Quella di Kugelmugel non è l’unica storia di questo tipo. Anche uno scultore svedese, negli stessi anni, ricorse allo stesso stratagemma. Ma le potenzialità intrinseche di un simile gesto non passano inosservate: diverse realtà artistiche lo capiscono, e trasformano la creazione di stati da atto di difesa in vera e propria provocazione artistica.
È il caso, ad esempio, del collettivo artistico sloveno Neue Slowenische Kunst (in tedesco “nuova arte slovena”), una rete di artisti di Lubiana che nel 1991 fonda l’NSK State, uno stato dell’arte che prende il nome dall’acronimo della rete. Ne fa parte anche la band techno-rock dei Laibach (il nome tedesco di Lubiana), spesso al centro di critiche per la loro ricontestualizzazione in chiave slovena dell’immaginario totalitario nazista – un po’ come accadeva in Italia con i Cccp per l’immaginario sovietico.
A differenza di Kugelmugel, l’NSK State non ha un territorio definito, pur avendo delle ambasciate temporanee a Mosca, Sarajevo e naturalmente Berlino. Si tratta di uno “stato dell’arte” nel senso più stretto, che si manifesta nel momento in cui si manifesta l’opera artistica. Ad esempio i Laibach dichiarano che i loro concerti sono a carattere gratuito: la cifra corrisposta all’ingresso non è per il biglietto, ma per l’acquisto di un visto temporaneo per l’NSK State, che si manifesta proprio con il la loro esecuzione.

Arrivando ai nostri giorni, è l’arte concettuale a diventare il terreno più battuto da questa particolare genia di utopisti. La Biennale di Venezia, ad esempio, è stata “invasa” nell’estate del 2007 da un piccolo stato, il Regno di Elgaland-Vargaland, che altro non è se non il progetto di due artisti svedesi, Elggren e Hausswolff. Per la precisione, ad essere invasa non è stata la Biennale, ma la piccola isola di San Michele, dove sorge il cimitero napoleonico. Il progetto dei due artisti, infatti, si sviluppa in una serie di annessioni di territori interstiziali di varia natura: geografica, mentale, digitale. Ad esempio i passaggi tra il sonno e la veglia, così come il bagnasciuga delle coste di tutto il mondo, sono territorio del Regno di Elgaland-Vargaland. La performance veneziana prevedeva l’annessione del confine tra la vita e la morte. Ecco allora l’occupazione – pacifica – dell’isola di San Michele, e il cambio di nazionalità postumo di due suoi famosi “residenti”: Igor Stravinskij e Ezra Pound. Paradosso nel paradosso per una nazione che, oltre ad essere l’unica sprovvista di un proprio padiglione, era anche l’unica presente alla Biennale in quanto opera d’arte.