Un'immagine dallo spettacolo
Un'immagine dallo spettacolo

Anno 1 Numero 35 Del 19 - 10 - 2008
I due livelli
Il Calapranzi di Pinter messo in scena da Koreja

Mariateresa Surianello
 
Uno specchio chiude la scena e gli spettatori vi si riflettono, come fossero anch’essi dentro la scatola che sta per animarsi. Ad accelerarne il loro trasporto all’interno di quella situazione claustrofobica contribuiscono le cuffie di cui ciascuno viene dotato all’entrata in sala. Si innesca così un processo di atomizzazione del pubblico che perde la sua forma assembleare in favore di una sorta di investitura ad personam nel ruolo di osservatore. In questo isolamento forzato, ognuno dei cinquanta spettatori – tanti ne sono ammessi a ogni replica – sentirà ogni parola sussurrata e anche il minimo respiro esalato dagli attori. La versione di Salvatore Tramacere col Teatro Koreja del Calapranzi di Harold Pinter è un meccanismo che preme sul pedale del coinvolgimento diretto, con l’intenzione di accrescere la complicità con l’osservatore, fino a renderlo vittima o carnefice, comunque protagonista egli stesso della minaccia incombente, esplicitata nell’inquietante domanda, “A chi toccherà questa sera?”, aggiunta al titolo originale.

Scritto nel 1957, The Dumb Waiter, appartiene alla prima fase creativa del drammaturgo inglese, quella stagione che lo vedeva giovane attore, occupato in continue tournée nella provincia, avvicinarsi alla scrittura teatrale portandosi dietro le dure esperienze vissute nella Londra bombardata del dopoguerra. Nel suo quartiere di periferia, Hackney, con i fascisti che cercavano lo scontro, alzando il livello di pericolo del vivere quotidiano. Questa violenza fisica, inespressa nel testo, compare nella scatola scenica di Koreja nella forma e nel colore più espliciti: schizzi di sangue che una delle due protagoniste iniziali si ostina a pulire. La prima parte di questo nuovo allestimento del Calapranzi è ambientata proprio in una sorta di stanza asettica, ma niente affatto protettiva, nella quale, al contrario, sono evidenti le tracce di recentissime torture, con quei due ambigui personaggi in attesa che si scambiano ripetute, quanto gratuite e all’apparenza innocue, provocazioni. Sono i doppi della coppia Ben e Gus che si incontrerà nella seconda parte dello spettacolo, una femmina dalla chioma di fuoco in costume sado-maso (Angela De Gaetano) e un’androgina figura in pantaloni e canottiera (Maria Rosaria Ponzetta). Sembra evidente che la regia di Tramacere, al di là di ogni questione filologica – solo Pinter in persona potrebbe gridare al tradimento come fece con Old Times, Vecchi tempi messo in scena nel ’73 da Visconti) – abbia voluto esacerbare le azioni di condizionamento e i tentativi di sopraffazione del più “forte” contro il più “debole”, per mostrare con tratti iper-realistici fino a dove può spingersi l’oppressione, cosa si nasconde dietro a quel dialogo nervoso e misterioso. Una sorta di scena preparatoria a quella che si svelerà subito dopo, quando gli spettatori sono invitati a lasciare l’iniziale postazione e a spostarsi fisicamente al margine più ravvicinato all’azione. Però, in più, in questo Calapranzi di Koreja si colgono le tracce (anche una memoria de La serra) delle opere più mature di Pinter, quelle della denuncia politica e dell’impegno civile, attraverso le quali il drammaturgo sferra attacchi precisi al potere sopraffattore e portatore di morte, Il bicchiere della staffa e Il linguaggio della montagna.


Distribuiti su due livelli, gli spettatori possono ora liberarsi delle cuffie (suono, scene e luci sono firmati a quattro mani da Tramacere e Lucio Diana) ed entrare nella scena, tanto che quel secchio di metallo, che scende dall’alto portando ordini in forma di pizzini a Ben e Gus, sembra manovrato dagli spettatori stessi. Qui siamo nella tipica stanza pinteriana, abitata da due loschi personaggi che attendono ordini dall’alto, parlando ciascuno il proprio dialetto, calabrese, Ben (Fabrizio Pugliese), e salentino, Gus (Fabrizio Saccomanno). Nel ritmo pacato del dialogo, le parole hanno però un peso schiacciante per chi le ascolta e per chi le pronuncia. Sono «parole che attingono al quotidiano – scrivono Gianfranco Capitta e Roberto Canziani nella premessa al prezioso libro pubblicato nel 2005 in coincidenza del Nobel al drammaturgo, riprendendo proprio le motivazioni del Premio – ai rapporti tra le persone, ma che sulle pagine e sulla scena diventano assolute, sostanza stessa dei rapporti, e svelano il baratro che sta là sotto».


Nella loro routine quotidiana, i due disgraziati sicari attendono l’ennesimo ordine di uccidere, mentre la tensione cresce. Ma quando la porta si spalancherà e forse a soccombere sarà Gus, nulla tranquillizzerà lo spettatore. La morte su ordinazione arriva senza motivo, forse solo un’impalpabile debolezza ne ha fatto la vittima designata.

 


A teatro: Dopo le repliche del 17 e 18 ottobre al Teatro del Lemming di Rovigo, Il Calapranzi approderà nello spazio di Koreja a Lecce, i Cantieri Teatrali, dal 12 al 16 novembre. Poi dal 5 al 7 dicembre sarà in scena allo Spazio Mil di Milano e dal 16 al 19 aprile al Teatro Alfieri di Cagliari.

In libreria: Roberto Canziani, Gianfranco Capitta, Harold Pinter - Scena e potere, Garzanti, Milano, 2005.