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Un'immagine da "Big in little"
Ketty Russo
Ketty Russo

Anno 1 Numero 21c Del 30 - 5 - 2008
Due possibilità per la danza
Le allusioni di “Big in little” e la ricerca di Ketty Russo

Mariateresa Surianello
 
Una provvidenziale programmazione indoor ha salvato dai temporali di ieri spettatori e artisti di Teatri di Vetro, convocati per la seconda giornata dedicata alla danza. Nel chiuso del Palladium si è svolta la kermesse che, con quella del 24 maggio, ha completato la vetrina coreografica - quindici allestimenti, tra spettacoli, performace e studi - proposta dalla direzione di Roberta Nicolai e Triangolo Scaleno Teatro. Un bel lavoro per la squadra di tecnici, invisibili protagonisti di ogni messinscena.

Il fervido avvicendarsi sul palcoscenico del Palladium si è aperto con il duo Tessa Cannella e Ilaria Puccianti, formazione costituitasi un paio di anni fa intorno alla medesima necessità di indagare le emozioni e il gesto spontaneo. In questo lavoro, Big in little, incontriamo le due protagoniste in un luogo dal sapore quotidiano, quattro lenzuola sono stese sul boccascena, creando una quarta parete che lascia vedere solo i piedi. Che si tratti di una donna e un uomo non è data certezza, neanche dai pantaloni di una e dall’abito lungo dell’altra, che invece potrebbero connotarli come una coppia, in attesa di cosa e di chi si capirà solo alla fine, annullando l’intenzione annunciata di rivisitare l’arcinoto dramma beckettiano di Aspettando Godot. Lo spettacolo alterna un parlato ordinario, bonario e casalingo con scambi di battute che davvero poco hanno di assurdo e nulla provocano di emozionante, a un movimento quasi accennato, eppure extra quotidiano. Dalle camminate della prima scena dietro le lenzuola, si passa a brevi sequenze coreografiche che il personaggio in pantaloni esegue fino in fondo, mentre l’altro in gonnella si riserva maggiore libertà di improvvisazione. Da un’enorme caffettiera tenta di versare qualche goccia di liquido in normali tazzine, aprendo in questo spettacolo dalla drammaturgia incoerente anche una vena fantastica e giocosa, reiterata con i tre palloncini di gomma partoriti da sotto la gonna. Nel finale dei trenta minuti è svelato l’arcano, rimasta in sottoveste la danzatrice mostra una piccola pancia, l’attesa è quella felice di una donna incinta. Perché scomodare Godot?

In tutt’altra dimensione si entra con Ketty Russo, danzatrice messinese interprete anche di molte coreografie di Lucia Latour, che da qualche anno ha intrapreso un percorso autonomo di ricerca sulle possibilità del corpo di esprimere le emozioni. L’utilizzo della metodica biotransazionale – quella della teoria dei Scac (Sistemi complessi articolari chiusi) di Giulio Flaminio Brunelli, ha condotto Russo verso l’indagine dell’essere vivente nella sua complessità, nel tentativo di stabilire un’integrazione tra la dimensione culturale e quella biologica del movimento. Nei due pezzi proposti al Palladium, Af-filia e In ballo, Russo mostra il rigore del gesto coreografico astratto in una danza piantata sul pavimento, forte e rifuggente ogni svolazzo di autocompiacimento. Le note di Bach diventano occasione per rompere la perpendicolarità del corpo e un breve stacco della gamba da terra cerca un nuovo equilibrio prima del collasso e la caduta. E poi la calma riconquista della posizione eretta, per cedere di nuovo a una contrazione, a quella tensione interiore nel gesto. Il silenzio assoluto del secondo brano sembra aggiungere fermezza all’esile corpo, e quella mano che si alza ancora una volta col palmo rivolto verso il pubblico non è un saluto. Nulla riconduce a una possibile narrazione, qui, lo spettatore legge e riceve ciò che desidera.