Alessandro Pintus in
Alessandro Pintus in "Si sedes non is"
Un'immagine della performance di Giano
Un'immagine della performance di Giano

Anno 1 Numero 21a Del 25 - 5 - 2008
Le tre variazioni
Tre possibilità per il butoh della scuola romana nei lavori di Giano, Pintus e Bonci

Mariateresa Surianello
 
Sono le 11 della sera quando gli spettatori della maratona coreografica di Teatri di Vetro entrano nel Lotto 14 della Garbatella. Nel silenzio quasi irreale di quel grande cortile si odono i passi di chi arriva. Giano sta già abitando lo spazio che nel pomeriggio ha trasformato in quell’inferno impalpabile e trasparente in cui ora si muovono Giordano Giorgi e Maddalena Gana. La struttura architettonica su piani diversi, collegati da piccole rampe di scale, discese e salitelle, rende il luogo deputato a La deposizione di Euridice – lo stenditoio – un’orchestra naturale, alla stregua dei declivi che ipotizziamo accogliessero i riti dionisiaci all’origine del teatro greco. Di questo stenditoio Giano moltiplica i motivi con gli enormi teli di plastica leggerissima appesi lungo l’entrata al Lotto, e vi riveste anche il pavimento dell’area rettangolare sopra la quale carponi avanza Orfeo-Giorgi per incontrare la sua Euridice-Gana. La relazione tra maschile e femminile è uno dei temi ritornanti nel lavoro dalla compagnia romana, fondata nel 2004 dagli stessi Giorgi e Gana, come la dualità del suo nome preannuncia.
Altri due drappi trasparenti e fluttuanti dividono la scena dell’azione da quella musicale, da dove Roberto Bellatalla rompe il silenzio e completa col suo contrabbasso l’atmosfera del quadro performativo. In questa rilettura del mito, quando avviene l’incontro dei due amanti, e Orfeo afferra Euridice sollevandola in aria, si spezza l’incanto: la presa dell’uomo diventa il morso del serpente che fa precipitare la donna nell’Ade. Così, Maddalena Gana, danzatrice butho, coperta dalla tunichetta di un penitente colore viola, inizia lente e inesorabili flessioni del busto, prima laterali per inarcarsi poi lentissimamente fino ad assumere una faticosa postura rovesciata a quattro zampe. Mentre Orfeo, lacerato il telo di plastica che ricopre il pavimento, si inabissa nella ricerca della sua sposa. Sparisce alla vista e scivola sotto quel telo rigonfiandolo come un verme delle sabbie del lynchiano Dune. Fino a ritrovarla la sua Euridice, per trascinarne via - verso il mondo dei vivi - solo dei miseri pezzi, brandelli forse dell’elaborazione del suo lutto, tracce del suo pensiero in cerca di riconciliazione con l’altra parte vicina e diversa da sé.
Quaranta minuti di grande suggestione che neanche le trombette da stadio e i fuochi d’artificio per la vittoria della Roma contro l’Inter nel finale riescono a spezzare. Felicità, canti e cori circondano il Lotto 14. Cortei di macchine imbandierate si avviano verso il centro, ma la città del potere è blindata, in questo nuovo clima politico, la festa si deve consumare fuori dal salotto buono. E fuori dal centro si consumano anche i pestaggi contro gli immigrati del Pigneto, ieri pomeriggio, e gli assalti alle loro attività commerciali.

Ma noi proseguiamo l’intensa vetrina coreografica, lasciamo il Lotto 14 e con pochi passi siamo di nuovo al Palladium, dove la scena è pronta per lo spettacolo di V.I.T.R.I.O.L., una sorta di contrappasso tecnologico al lavoro iper naturale di Giano. La visione di Si sedes non is è offerta dall’alto, dalla galleria, da qui si apprezza il cerchio bianco sul quale giace immobile Alessandro Pintus, mentre sul fondo il grande schermo sputa immagini astratte, forse macro, di tessuti e organi umani. Si distinguono architravi e porte verso un fuori, che forse potrebbe essere un dentro, in questo spettacolo ispirato a quel luogo esoterico che è la Porta Magica della romana piazza Vittorio. Ricoperto di biacca bianca, il danzatore inizia il movimento uscito dalla sua pratica butoh, prima a terra e poi in piedi, in un crescendo di frenesia coniugato alle proiezioni e al sonoro sintetico, prodotti dal vivo. Sulla sinistra del palcoscenico sono le postazioni di Simone Palma, addetto alla “luce”, e Gerardo Greco, addetto alla “vibrazione”. E il teatro vibra davvero nell’innalzarsi dei decibel, fino al parossismo di un corpo, che sembra ormai caduto in una trance sciamanica.

E la ricerca nel butoh caratterizza anche Secrezioni di Francesca Bonci, a riconferma di quanto questo metodo sia frequentato nella Capitale (La differenza ne ha dato conto in diversi numeri), nell’ultimo decennio. Mostratasi dapprima come una tendenza, ora questo ricorrere di esperienze butoh rappresenta una vera e propria “scuola romana”, diversificata e ricca di espressioni, spesso però ancora troppo sperimentali e introiettate. L’estrema libertà che lascia nel corpo e nella mente l’utilizzo del metodo fondato da Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata, talvolta impedisce un approccio rigoroso al proprio corpo che è l’unico strumento attraverso il quale esce l’intenzione della mente.
L’idea di Bonci di lavorare su queste preziose proteine è ancora embrionale e non sembra aiutarla l’abito di varie plastiche trasparenti, che un po’ le fasciano i glutei e molto svolazzano nel finale.