Un render del nuovo teatro di Formia
Un render del nuovo teatro di Formia
Un'altra immagine dalle piante
Un'altra immagine dalle piante

Anno 1 Numero 17 Del 28 - 4 - 2008
Ma che c’entra Bertolt Brecht?
Ultimati i due nuovi teatri di Formia cui collaborerà una realtà organizzativa della città

Attilio Scarpellini
 
Cosa c’entra Bertolt Brecht con Formia? Niente: a visitarla in una giornata di festa con la banda in piazza e lo struscio indolente che si disperde per le vie del centro, mentre una colonna di traffico si muove monotona sulla litoranea che la collega a Gaeta, Formia sembra la città meno brechtiana del mondo – mendicanti non se ne trovano e se dei gangster vi si annidano devono essere acquartierati nell’entroterra o trincerati dietro le persiane chiuse per il sonnellino pomeridiano. Eppure l’unico gruppo teatrale che qui produce, insegna, organizza rassegne e laboratori è appunto intitolato all’autore dell’Opera dei Tre Soldi e occupa una piccola sala in Via delle Terme.  Ma ironia della sorte, invece di predicare una drammaturgia ruvidmente militante e una recitazione distanziata, la compagnia nata negli anni ’70 e che oggi è diretta da Maurizio Stammati si ispira al suo opposto speculare, denunciando fin dalle prime righe di presentazione sul suo sito (www.teatrobertoltbrecht.it) il proprio debito artistico con il poltlach dell’Odin e il terzo teatro. E sempre con Brecht “ma anche” con Grotowski e Barba hanno molto a che vedere l’architetto-designer Luca Ruzza e la scenografa Laura Colombo, cioè l’Open Lab Company, pluripremiata task force di progettisti e scenografi che per conto dell’ammnistrazione comunale della città ha disegnato il “nuovo teatro” della città: 600 metri quadrati di superficie, una struttura leggera e polifunzionale fatta apposta per ospitare lo spettacolo meno tradizionale: le attività con i ragazzi, i corsi e i laboratori e ovviamente, il contemporaneo. Il futuro teatrale di Formia è tutto qui: racchiuso tra la vecchia sala in ristrutturazione dell’ex cinema Miramare di cui sono stati ormai ultimati i lavori, cominciati nel 2003 ma rallentati dai ritrovamenti archeologici in quello che fu il perimetro di una villa augustiana del I secolo (i romani adoravano villeggiare da queste parti) e lo spazio disegnato da Ruzza e soci nell’area di via Olivastro Spaventola, zona portuale, non lontano dalla multisala del cinema del Mare. Fin dai bozzetti con quel suo ingresso ad ali ondulate, la struttura di Ruzza  sembra  esprimere una forte vocazione all’innovazione. Tutto sta a capire se questa cittadina che digrada sul golfo, laziale per confine amministrativo ma campana – anzi napoletana – per storia,  cultura e migrazioni, all’innovazione e al teatro presti un qualche interesse.

 Per il momento attende il ballottaggio per il rinnovo delle cariche municipali e festeggia con ostentata indifferenza il 25 aprile che qui è una celebrazione decisamente ecumenica: comincia con la messa nella chiesa di Santa Teresa d’Avila e poi scende verso il mare, con il sindaco in testa e la banda comunale al seguito, le insegne del comune e una corona di fiori che viene deposta ai piedi del monumento ai caduti (del 15-18) nella terrazzata e  mediterranea Piazza della Vittoria. La banda attacca l’inno di Mameli e Bella Ciao, la gente le canticchia  nella migliore tradizione calcistica nazionale, senza ricordare le parole. Anche il sindaco Bartolomeo di parole ne pronuncia poche: si astiene da ogni discorso, dice, per via del confronto elettorale non ancora concluso. Progresso e democrazia, unità e repubblica sfumano nell’aria piena di salsedine finché a vegliare sulla precaria memoria del secolo scorso resta solo lo strano fantoccino di bronzo del monumento con le spalle volte al mare e le braccia aperte protese verso il cielo: doveva essere un enfatico omaggio al Sacrificio (si chiamava così) quando la scultrice australodanese Dora Ohlfsen lo scolpì nel 1926, oggi ha un’aria patetica e disarmata da disertore che maledice tutte le guerre. Il sindaco si è tolto la fascia tricolore, è il momento buono per parlare di teatro. Lui si deterge il sudore e quasi tira un sospiro di sollievo: il teatro è pronto dice, anzi lo scandisce con un certo orgoglio. Era la sovrintendenza a bloccare i lavori. Poi ci indica una signora bionda vestita di rosso: è lei che dei teatri di Formia sa tutto. E Giovanna Grimaldi - assessore alla cultura in questi anni - racconta di una città dove una volta ultimati i due nuovi spazi ci sarà un bacino potenziale di quasi duemila spettatori divisi tra gli appassionati di un teatro più tradizionale (quelli che oggi frequentato l’Ariston di Gaeta o prendono la macchina per arrivare fino a Napoli e vedere De Filippo), il folto pubblico dei melomani e quello meno individuato dei giovani che oltre a vederlo il teatro potrebbero essere anche interessati a farlo. La programmazione sarà costituita da due stagioni donate dall’Eti nell’ambito del progetto Teatri nella rete e gestite con il supporto tecnico della compagnia di Stammati, l’unica risorsa del luogo.

E’ un primo passo per cominciare a creare quella che l’assessore chiama una “capacità imprenditoriale autonoma nel settore dello spettacolo” – perché è di questo che oggi Formia ha più bisogno: di formare i suoi artisti. Ma soprattutto ha bisogno di costruire accanto agli spazi che si aprono mestieri e professionalità, per conoscere il teatro ed imparare a farlo.