Il manifesto di Biutiful cauntri
Il manifesto di Biutiful cauntri
Un'immagine dal film
Un'immagine dal film

Bel paese o Biutiful cauntri?
Presentato al Film Festival di Torino il documentario shock sugli impatti dell'ecomafia

Federico Pontiggia
 
Allevatori che vedono morire le proprie pecore per la diossina, un educatore ambientale che lotta contro i crimini ambientali, contadini che coltivano le terre inquinate dalle vicine discariche: sono alcune delle storie che testimoniano e denunciano il massacro della Campania, una delle regioni con il maggior numero di discariche abusive: 1200. Sullo sfondo, una camorra imprenditrice, che al posto della pistola usa camion e pale meccaniche. Un magistrato parla di mafia dai colletti bianchi, imprenditoria deviata e istituzioni colluse, svelando meccanismi e dinamiche di un’attività camorristica che nel lungo periodo mieterà più vittime di qualsiasi altro fenomeno criminale. Sono i tristi scenari di Acerra, Qualiano, Giugliano, Villaricca, comuni a 25 km da Napoli: Biutiful cauntri. Ironicamente scritto come si legge, è il documentario diretto da Esmeralda Calabria e Andrea D'Ambrosio, autori anche di soggetto e sceneggiatura con Giuseppe Ruggiero, in anteprima al Torino Film Festival di Nanni Moretti.

Spettatori ammutoliti, a fine proiezione la luce conserva un interrogativo: com’è possibile che nel 2007 in Italia si possa (soprav)vivere così? Dietro, davanti e intorno ai rifiuti, una mole di problemi, che riguardano politica, economia, criminalità, salute pubblica, che interessano non solo la Campania, ma l’intero Paese, come la cronaca odierna attualizza - e stigmatizza.
Prodotto da Lionello Cerri per Lumière & Co. di Milano, il documentario di Calabria, provetta montatrice (La stanza del figlio, Il Caimano, Romanzo criminale), e D'Ambrosio, cortista salernitano, approfondisce il tema delle ecomafie in Campania, di cui i telegiornali si sono occupati – allora e oggi - solo in occasione dell'emergenza rifiuti a Napoli, con informazioni frammentarie, indifferenti alla questione complessiva, che abbraccia in primis la provincia. Devastazione decisa a tavolino da camorra, istituzioni e imprenditoria del Nord, fenomeno antico, ma entrato nell’immaginario collettivo solo di recente con Gomorra di Roberto Saviano, indagato nel documentario attraverso i protagonisti in prima persona, individuati e intervistati, per oltre 130 ore di girato in DVcam condensati in 73 minuti di film.

Fin qui tutto male, ma c’è di peggio. Decisamente peggio. Perché il contenitore rischia di fare la stessa fine del contenuto: il rifiuto. Anzi, rifiuto DOC, denominazione di origine controllata per il prodotto rifiutato dalla sala: il documentario. E, mutatis mutandis, anche qui è questione di collusione, tra il – supposto – (dis)gusto del pubblico e la – postulata – ricetta distributiva, che annichila qualsiasi estroversione, eversione, eterodossia dai parametri del consumo globale alias commerciale. Là dove c’era il Bel Paese, ora è Biutiful cauntri, là dove c’era il cinema, ora c’è la (non) distribuzione. E l’aderenza al reale, peculiare allo sguardo documentaristico, finisce nel fuoricampo, esterno: non all’inquadratura, ma alla sala. Sostenuti dalla critica, applauditi dal pubblico eletto, Biutiful cauntri & Co. - bella e variopinta – sono condannati a essere fast food, seppur di qualità, cibo per happy few, pasto frugale alla finestra (la window festivaliera) da consumarsi univocamente entro la data dell’anteprima (e sparute repliche), dieta per metabolismi rapidissimi. Nemmeno fast, ma junk food: cibo spazzatura, perché di qualità misconosciuta dalla distribuzione. Che riduce i documentari al minimo comune denominatore: d come deperibile, lettera nera in campo verde, senza speranza. Pietra all’angolo scartata dai distributori. E in questo caso, la raccolta è indifferenziata, e tempestiva, la discarica sempre aperta: avanti un altro (rifiuto)…