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Un'immagine del film "Machan"
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Un'immagine da "Ladri di biciclette"

Anno 1 Numero 37 Del 3 - 11 - 2008
Lo strabismo della macchina da presa
L’incompatibilità fra autorale e commerciale è il vero esito di Cannes, Venezia e Roma

Federico Pontiggia
 
Lo strabismo della macchina da presa
L’incompatibilità fra autorale e commerciale è il vero esito di Cannes, Venezia e Roma

di Federico Pontiggia

"Esiste ancora uno spazio per un cinema diverso? Quali margini restano a chi si muove fuori dalle regole del mercato? Come conciliare l'esigenza del dialogo con gli spettatori senza arrendersi all'omologazione dei gusti e del linguaggio?".
Questi gli interrogativi mossi dal delegato generale Fabio Ferzetti nel presentare la quinta edizione delle Giornate degli Autori alla 65ma Mostra di Venezia. Interrogativi, quelli di Ferzetti, che portano in superficie una dicotomia, quella tra cinema d’autore e cinema popolare, che solo nelle età dell’oro della settima arte - variamente declinate per Paesi, correnti, periodi, scuole - ha trovato una felice sintesi: cinema popolare d’autore.
Per cercarne la progenie nell’odierna produzione, cartina tornasole sono proprio le Giornate e il loro vincitore: Machan (premio Europa Cinema Labels), girato in Sri Lanka con attori cingalesi e co-prodotto da Italia e Germania, tragicomica vicenda di un'improvvisata squadra di pallamano decisa a lasciare il proprio paese, diretto dall’esordiente italo-inglese Uberto Pasolini, già produttore di Full Monty.
Storia vera di Manoj e Stanley, due giovani cingalesi col sogno d’emigrare in Germania, Machan cerca nella cornice della commedia il ritratto sociale, con riuscite gag e insieme evidenti crepe drammaturgiche, che si alternano fino all’epilogo sbiadito. Ovvie le affinità elettive con Full Monty, ma su uno spettro più ampio, Machan non sa tradurre al cinema lo spunto cronachistico, accontentandosi di riuscire nel breve periodo – sparute sequenze e qualche battuta – anziché perseguire, anche faticosamente, un’incisività sociale, e sociologica, d’insieme.
 "L'immigrazione è un problema molto concreto nell'Europa di oggi e questo è un film divertente, molto ben scritto e diretto che riesce a parlarne con umorismo e senza scivolare in facili sentimentalismi. Riteniamo questi aspetti in grado di attrarre e divertire un vasto pubblico in tutta Europa, contribuendo ad alimentare la discussione su un argomento così importante", recita la motivazione del riconoscimento Europa Cinemas Label, ed è palese quanto strida con le questioni, e le speranze, di Ferzetti: umorismo e immigrazione in agenda, anziché quella “ri-soluzione” audiovisiva del problema che costituisce forse la quintessenza stessa della sintesi (im)possibile tra pop(olarità) e autorialità.

E’ dura non omologarsi ai gusti e al linguaggio incontrando il pubblico: Machan non ce la fa, e lascia qualche rimpianto, anzi uno solo: forse è popolare, ma non è d’autore, e viceversa. L’elemento distintivo è la (mancanza di) compresenza nel caso di Machan, e due dubbi – popolare ma non d’autore, d’autore ma non popolare – non fanno una certezza.
Dalle Giornate veneziane a quelle gloriose della Cannes tricolore, con Gomorra di Matteo Garrone e Il Divo di Paolo Sorrentino acclamati “secondo” e “terzo” dietro la Palma d’oro La classe di Cantet. Citati dai più quale esiti, inarrivabili nel panorama nazionale, di felice congiunzione di autorialità e popolarità, forse questi clamori vanno ridimensionati, ovvero precisati. Gomorra è il film d'essai più visto nel 2008, con 1.708.388 spettatori e 10 milioni di euro circa di incasso, mentre Il Divo è nono, con meno di 4 milioni al botteghino. Cifre lusinghiere, ma – per gettare uno sguardo alla nostra età dell’oro, il Neorealismo – lontane anni luce dal peso pop-autoriale di Ladri di biciclette di De Sica, ancora oggi campione incontrastato di questa speciale classifica. Sarebbero andati al cinema questi 1.708.388 spettatori se Gomorra non avesse avuto l’appeal cartaceo di Saviano, e se per alcuni – se non molti – la visione in sala fosse diventata un must civile, data la materia anti-camorra scottante? Con i se non si fa la storia, e nemmeno il box office, ma qualche dubbio rimane, anche relativo: i 10 milioni di incasso dell’adattamento sono comunque meno, decisamente meno, della metà di quanto realizzato da qualsivoglia cinepanettone Filmauro negli ultimi anni – in questo 2008 ci aspetta Natale a Rio.

Mutatis mutandis
, il discorso non fa una grinza nemmeno al biopic d’autore di Giulio Andreotti, il cui esito commerciale, pur importante, paga al “cugino” Gomorra il mancato traino librario, stigmatizzando vieppiù per riflesso il risultato spurio della trasposizione di Garrone. Non ci resta che piangere? No, non esageriamo, ma l’entusiasmo sortito da questa splendida coppia va (ri)considerato: se un giorno il nostro cinema grida miseria, l’altro non può cantare vittoria per KO.
 
La strada verso l’unione di amorosi sensi tra popolarità e autorialità è ancora lunga, sia nel futuro che retrospettivamente verso gli antenati aurei Ladri di biciclette e Paisà. Film, che, come disse il sottosegretario Andreotti, erano colpevoli di “non lavare i panni sporchi in casa”, dato l’export di successo: pure Il Divo potenzialmente lo è, ma la modestia, tutto sommato, della reazione del senatore a vita al biopic di Sorrentino non dichiara in fondo che ci troviamo di fronte a un altro ordine di grandezza, per Andreotti infinitamente meno pericoloso?
Per concludere, l’appena conclusosi Festival di Roma, con la vittoria – a furor di popolo – di Resolution 819 di Giacomo Battiato, focus-denuncia su Srebrenica e le altre infamie della guerra in Bosnia. Autorialità traballante, per le palesi ascendenze televisive, ma benedizione di pubblico, con un esiziale problema: la mancanza di una distribuzione. Forte del riconoscimento, ora presumibilmente la troverà, ma permane un’infida questione: il matrimonio tra popolare e autore forse non s’ha da fare. E l’impersonale è d’obbligo…