Elena Vanni
Elena Vanni
Elio Germano in una scena del film
Elio Germano in una scena del film "Mio fratello č figlio unico"

Sarebbe bello potersi permettere Shakespeare
Elena Vanni ed Elio Germano autori e attori di “Verona caput fasci”, un’inchiesta teatrale sui fatti di violenza e intolleranza che da anni coinvolgono il capoluogo veneto.

Mariateresa Surianello
 
La macchina dell’odio sta sfuggendo di mano ai suoi costruttori. Non passa giorno senza che si verifichino fatti di intolleranza ai danni delle frange più deboli della società. Mentre i nostri centri storici sono soffocati da inquietanti suv e inutili pick up cromati, scende il sipario sull’8 settembre più buio della Repubblica Italiana. E’ troppo anche per Gianfranco Fini che, calatosi nel ruolo istituzionale di terza carica dello Stato, assesta un duro colpo alla crescente foga, obliteratrice della Storia, dei suoi compagni di partito. Intervenendo alla festa di Azione giovani, il Presidente della Camera spiazza l’auditorio dichiarando che ogni democratico è un antifascista e che resistenti e repubblichini non possono stare sullo stesso piano: i primi lottavano dalla parte giusta, per la libertà, mentre i secondi – fatta salva la buona fede – erano dalla parte sbagliata. Parole inequivocabili in risposta proprio alle affermazioni celebrative dell’Armistizio di Alemanno sindaco di Roma e di La Russa, che in veste di ministro delle difesa ha sbattuto in faccia al Presidente della Repubblica la richiesta di pari dignità per i ragazzi di Salò. Vedremo l’effetto delle parole di Fini sulla “comunità militante” quella che tappezza Roma di manifesti con l’invito al sindaco di non dimenticare chi l’ha mandato sullo scranno più alto del Campidoglio. C’è tutto un substrato umano in fermento lungo la Penisola, che facendosi scudo con le dichiarazioni dei politici al governo si organizza non solo per le battaglie allo stadio con vessili nazi-fascisti, ma anche per combattere nelle strade delle nostre città grandi e piccole contro immigrati, zingari, ebrei, comunisti, omosessuali... Una guerra contro tutti coloro che questa umanità inferocita considera “diversi”.
Il sangue versato la scorsa primavera continua a spandersi – come in una delle immagini più intese di Crac, l’incalzante e tecnologica performance che i Motus hanno proposto a India per la serata conclusiva del romano Shorth Theatre. Ma alla stregua di quel germoglio di vita che resiste nel cerchio di algoritmi creato dal gruppo riminese per questa tappa dei suoi Racconti crudeli della giovinezza, così alla violenza omicida di primavera il duo Elena Vanni-Elio Germano ha risposto con Verona caput fasci, spettacolo che va alle radici della crescente violenza. Attori molto sensibili alle tematiche sociali, sono entrambi attivi sulla scena teatrale con interventi di schietto impegno politico. Vanni, tra l’altro, con i riconoscimenti per i suoi lavori ha contribuito a far conoscere la ditta Narramondo, mentre Germano, molto prima di affermarsi sul grande schermo (nel 2007 ha vinto il Davide di Donatello come migliore attore), ha riscosso un decennio di apprezzamenti anche come rapper nel gruppo romano delle Bestie Rare.
Di questo spettacolo che ha il sapore dell’happening ne abbiamo parlato con Elena Vanni, in questi giorni che precedono il suo riallestimento proprio a Verona sul luogo della tragedia, il 3 ottobre, in ricordo dell’uccisione di Nicola Tomassoli.

Per questo lavoro siete partiti dalla mozione approvata dal Comune di Verona il 27 aprile 1995, con la quale si respingeva la risoluzione del Parlamento Europeo dell’anno precedente che chiedeva ai Paesi membri di impegnarsi nel riconoscere alle coppie omosessuali pari dignità e diritti di quelle eterosessuali. L’aggressione e l’omicidio di Nicola Tomassoli compiuto da cinque fascisti di vent’anni ha radici lontane?
L’occasione è arrivata con un evento di violenza, dopo l’aggressione in via de Lollis a Roma. All’Università si è organizzata una serata, Anomalia Sapienza, che raccoglieva fondi per il processo di Emiliano, il ragazzo picchiato da cinque fascisti di Forza Nuova, e che finito in ospedale è poi andato agli arresti domiciliari per due mesi. Elio ha sentito su Radio Onda Rossa i ragazzi di Facciamo breccia e abbiamo iniziato a lavorare. Ci sembrava giusto tornare a coinvolgere il Circolo Pink (gay-lesbico) di Verona, perché i fatti del ’95 erano dovuti a un atteggiamento violento, razzista, fascista nei confronti delle persone. Le frasi contenute in questa risoluzione, pronunciate da consiglieri comunali leghisti e di Alleanza Nazionale sono così grottesche e violente, ma allo stesso tempo molto teatrali. Infatti, abbiamo cercato di conservarle in tutta la loro violenza.

Non è che a Roma non ci siano state negli ultimi anni aggressioni fasciste anche con morti, però all’indomani dell’elezione a sindaco di Gianni Alemanno, si sono susseguiti con cadenza quotidiana atti di intolleranza di diversa gravità ai danni di immigrati, Rom, gay e persone di sinistra. In poche ore il clima in città è cambiato, è stato come se questi gruppi – spesso legati alle tifoserie calcistiche ultrà – si fossero sentiti legittimati?
Infatti, al di là del fatto da cui partiamo, legato a un gruppo gay-lesbico, ciò di cui vogliamo parlare è l’atteggiamento fascista e razzista che si sta spandendo, radicando e che adesso non si nasconde più. Per noi è impossibile pensare che un ragazzo venga ammazzato a calci e pugni in centro a Verona. Come sempre, abbiamo sentito la necessità di dire, non possiamo stare zitti. Come disse Ulrike Meinhof, quando era una giornalista: “E’ meglio essere arrabbiati che tristi”. In questo momento la cosa fondamentale è denunciare un livello di violenza inaudito, inammissibile. Secondariamente noi siamo allibiti dalle regole che si stanno definendo. Un mio amico svizzero mi diceva che sui loro giornali in prima pagina si scrive: “L’Italia è impazzita” e giù a elencare le nuove norme dei sindaci, tipo: non si può stare dopo le undici di sera in più di due seduti su una panchina, non si può mangiare panini per strada, non si può fumare... tutta una regolamentazione e un controllo che arriva a essere una restrizione delle libertà individuali, fascista, dittatoriale. Una sequela spaventosa di condizionamenti che stanno cascando su di noi a pioggia. Il sindaco Tosi è maestro in questo.

E’ chiaro a questo punto quale sia il nocciolo della questione che volete far emergere.
E’ aberrante che in un consiglio comunale, in quel 1995, si sia potuto parlare così... Purtroppo, queste frasi sono diventate all’ordine del giorno. Lo spettacolo è nato dai documenti e dai colloqui con le persone che sono state coinvolte, allora. In particolare, quelle del Circolo Pink che avevano organizzato la manifestazione contro la mozione comunale. Loro ci hanno parlato del terrore in cui negli anni Novanta vivevano. Percepivano Verona come laboratorio delle destre tra l’integralismo cattolico e la destra giovanile molto violenta legata al calcio. E’ impressionante che le frasi del consigliere comunale di allora siano le stesse pronunciate dieci-quindici anni dopo da Bagnasco. Ed è ancora più impressionante che questo lavoro su Verona e su altri piccoli centri del Nord, già leghisti, razzisti e ricchi, fosse un modello poi esportato. E’ diventato la nostra normalità, queste frasi siamo costretti ad ascoltarle dai politici che ci governano.

Quali sono i materiali che avete utilizzato per la costruzione drammaturgica?
Abbiamo parlato con molte persone, quelle del Pink, del Csoa La Chimica e di Facciamo breccia che sono state tutte entusiaste di pensare che questa storia dopo tredici anni sarebbe stata raccontata. Ci hanno fornito la mozione, i volantini dell’epoca da cui abbiamo preso le frasi, ce n’è una abberrante di Forza Nuova che dice: “Omosessuali in Arena, sì, però con i leoni”. Materiali che sorpassano la fantasia. Tra l’altro chi aveva indetto la manifestazione contro la mozione del Comune di Verona, sono le stesse che sono state fermate a Roma in piazza San Pietro, a Gay Pride. Abbiamo allargato i fatti di Verona a quello che sta accadendo oggi in tutta Italia, è bastato raccogliere le frasi dei politici del momento, dal leghista che dice: “Sui gay bisognerebbe usare il napalm” alla ministra Mara Carfagna che dichiara: “I gay sono costituzionalmente sterili”, da Bagnasco che afferma: “L’omossessualità è uguale alla pedofilia” a Ratzinger che sentenzia: “L’omosessualità è l’eclissi di Dio”. Questo fatto vuole essere contestualizzato all’interno di una visione quotidiana. Ci teniamo alla giornata del 3 ottobre, nel pomeriggio faremo lo spettacolo lì dove è stato ucciso Nicola. Anche da parte degli organizzatori c’è la volontà di evitare la ricorrenza e l’appuntamento celebrativo con la posa di una targa. Vogliamo coinvolgere la gente, contro l’assuefazione che si è creata. Molti temono di entrare in conflitto con il Comune e c’è molta confusione. Pensa che dopo lo spettacolo a Verona, nel cimitero ebraico, sono state trovate scritte, non solo contro gli ebrei, ma anche contro gli immigrati e il Csoa La chimica. Tutti, indistintamente.

Hai spesso lavorato sul recupero della memoria di fatti storici che sono stati oggetto di rimozione collettiva. Sto pensando ad A.V. storia di una B.rava R.agazza (ha vinto la prima edizione del Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti, nel 2004) – uno scavo nella lotta armata attraverso la figura di una brigatista rossa. Ma a parte le ferite degli anni Settanta, sul ventennio fascista e i sessanta anni di rigurgiti il popolo italiano continua a operare una rimozione. Ora siamo giunti alla negazione della Storia, al suo appiattimento, alla totale parificazione tra partigiani e repubblichini...
Rispetto alla ricerca fatta per A.V., il lavoro per Verona caput fasci, oltre a raccontare l’attualità mi coinvolge a livello personale. Sono di Salò e non posso dimenticare un episodio cardine della mia vita. Un’amica di Parigi che per la prima volta è venuta a trovarmi a Salò mi ha chiesto: “Ma dov’è il monumento, dov’è la targa che dice che avete vinto Mussolini?”. Ma quale monumento, quale targa, noi non abbiamo niente a Salò! Perché noi non abbiamo vinto niente! A Salò nessuno a livello istituzionale si è fatto carico di spiegare cos’è successo. Questo atteggiamento ha permesso, cinque anni fa, a un privato, un assessore di A.N., di aprire un bar che si chiama “Bar nero – Cafè Museum”. I turisti che arrivano, non trovando niente, vanno lì, nel museo di Mussolini, nel bar di un fascista, e lui racconta loro la sua storia. Che a Salò non ci sia un monumento, né una targa è significativo, non c’è stata un’assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni. Oggi ristabilire questo margine, che viene costantemente spostato, è sempre più difficile, chi lo fa viene indicato come fazioso, di sinistra... Il solo parlarne è fazioso. Questo è pericolosissimo. E, invece, lo diceva anche A.V. negli anni Settanta, vorremmo ricominciare a camminare con le nostre gambe, sorpassando questa strumentalizzazione di un passato che, quando torna, causa gli stessi errori.

Per tornare alla denuncia del vostro spettacolo, oggi, se da una parte – a destra - si tende a riclassificare gli atti di intolleranza violenti, le aggressioni, i pestaggi, nell’alveo dei reati comuni, dall’altra si liquida questa recrudescenza con l’espressione siamo tornati agli anni Settanta. Tu che col tuo teatro hai indagato quegli anni come percepisci lo scontro dei nostri giorni? Cosa è cambiato?
In questo anniversario del ’68 si è detto e scritto di tutto in maniera pubblicitaria, come ricorrenza, senza compiere un’analisi per far capire a chi non c’era cosa è successo. In A.V., c’è una battuta di Marianna-la ragazzina, la quale si stupisce e dice: “Ancora fascisti contro comunisti, ma quella storia non doveva essersi conclusa con la nascita della Repubblica?!”. Questa storia non si concluderà mai e purtroppo oggi non ha più delle controparti che hanno delle ragioni, ma c’è una totale confusione che arriva ad atteggiamenti di violenza e qualunquismo preoccupanti. Questa linea che costantemente si sposta, definendo una normalità, come si fa a tornare indietro? Apatia o violenza mi preoccupano entrambi.

Del resto si è arrivati a questo punto operando per anni un processo di svuotamento di significato a partire dalle parole, pensiamo a “libertà”... Oggi è pronto un esercito di giovani obnubilati.
Sì, però, sono fiduciosa. Anche a Roma si organizzano molte iniziative per conoscere e riflettere.

La presenza di Elio Germano può aiutare la circolazione di Verona caput fasci, che difficilmente sarà accolto nei teatri?

Elio ha un percorso legato alla denuncia sociale, anche con il suo gruppo Bestie Rare. La sua presenza nello spettacolo può richiamare spettatori che forse non sarebbero mai arrivati. Il suo nome può attirare, anche se il rovescio della medaglia sta nel rischio che si parli di Verona caput fasci affogandolo nel gossip e tralasciando i contenuti del lavoro. Elio e io siamo convinti che lo spettacolo vada fatto anche da altri attori, nel caso non fossimo liberi per una data, noi restiamo gli autori. Vorremmo che questo spettacolo fosse uno stimolo moltiplicatore, è nato per la serata alla Sapienza, per dire no a tutti i fatti di violenza e di fascismo che stanno accadendo. In questo periodo purtroppo ci sono molte cose da dire, per dare una visione personale e politica dei fatti che non sia strumentale e televisiva. Sarebbe bello tra un po’ ridedicarsi a Shakespeare, ma finché senti questo vuoto, anche a livello giornalistico, finché hai difficoltà a reperire le notizie, ad avere un punto di vista, un approfondimento, è necessario continuare a fare questo tipo di teatro. Raimondo Brandi nel suo spettacolo Security, fino all’11 settembre dice, «sono un attore, ho tanto tempo libero e mi dedico allo studio di un argomento per persone che non hanno tutto questo tempo». In un’ora di spettacolo puoi avere degli stimoli, poi ciascuno spettatore andrà ad approfondire.