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Una immagine da "Guerriglia Live Show"
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Una immagine da "Il giocattolo con i fili"

Parole fuori scena
Esempi di drammaturgia “dall’esterno” per Margine Operativo e per l’accoppiata Apparizioni - Sassi.

Graziano Graziani
 
Il rimosso della retorica e quello della società
Nel mezzo della scena troviamo due musicisti (Andrea “Lako” Cota, voce e chitarra; Federico Camici, basso), camicie scure e cravatte rosse fiammanti, intenti a suonare il jingle che apre e accompagna il Guerriglia Live Show per tutta la sua durata. Quasi sommersi tra i cavi, gli strumenti, l’amplificazione e i video su cui prede vita lo show, sono proprio loro gli unici elementi biologici dello spettacolo di Margine Operativo, presentato a Roma all’Horus Occupato [4 e 5 aprile] e a Esc [16 aprile]. Eppure Guerriglia Live Show – titolo e contenuto della performance video-musicale della compagnia romana – è uno spettacolo che si basa su un testo, una drammaturgia che viene detta in scena. O meglio, fuori dalla scena. Perché l’istrionico presentatore dello show, un trascinante Nicola Danesi De Luca in completo bianco e occhiali scuri, si presenta al pubblico affacciandosi dagli schermi di varie dimensioni che attorniano la band. Ma fisicamente non c’è, si tratta di una registrazione realizzata da Riot Generation Video e mixata in scena con gli altri elementi da Alessandra Ferraro e Pako Graziani, ideatori e registi, e arricchita dalle luci di Diego Labonia.

L’imbonitore, con piglio televisivo e smorfie demenziali, porta per mano il pubblico nel cuore di uno spettacolo “politicamente scorretto”, ovvero di una sorta di manuale del perfetto guerrigliero urbano che viene istruito su come ridurre gli effetti dei gas sparati dalla polizia, sul perché le mazze da baseball hanno una calibratura che favorisce l’assestamento di colpi potenti, sull’indubbia utilità dei sampietrini come strumento per respingere le cariche dei celerini (in francese si dice “pavè”, che fa più chic…). Ma ogni manuale che si rispetti, che voglia essere più di una semplice sequenza di “consigli utili”, deve aggiungere un tocco di raffinata erudizione: è così che apprendiamo l’etimologia del termine guerriglia («piccola guerra»), di derivazione spagnola, e che la paternità delle bombe Molotov non è, come si crede abitualmente, attribuibile all’omonimo generale russo.
Libero adattamento di alcune e-mail scambiate in rete tra ultras italiani e casseur francesi durante la seconda rivolta delle Banlieues, il testo di questo varietà abusivo e grottesco guarda con graffiante ironia all’«estetica del conflitto» che accompagna le manifestazioni radicali di dissenso – un’ironia tanto più tagliente se si tiene conto del fatto che Margine Operativo da sempre interpreta il proprio lavoro come un’indissolubile azione tra performance artistica e militanza politica [e non è casuale la scelta di portare lo spettacolo principalmente negli spazi occupati]. E soprattutto lo fa senza morali preconfezionate, e con il merito di esplicitare una realtà che la narrazione sociale main-stream semplicemente nega, perché non è in grado di relazionarcisi. Rovescio della medaglia di un mondo istituzionale (europeo) sempre meno in grado di rapportarsi al disagio e al dissenso in modo alternativo alla repressione. 
Da un certo punto di vista, dunque, Guerriglia Live Show è uno spettacolo sulla rimozione, e lo è a partire dagli elementi che lo compongono: un attore che non c’è, un testo che non è un testo, uno spettacolo che per una buona metà parla di sé, del proprio essere politicamente scorretto e di ciò che lo spettatore deve “prepararsi ad assistere”. Ma in questo rimandare costantemente altrove, lo spettacolo di Margine Operativo riesce a evocare l’oggetto di cui vuole parlare meglio che se lo rappresentasse. La parola è fisicamente fuori dalla scena, e la drammaturgia, riducendosi a una continua didascalia, è fuori del meccanismo drammaturgico. Eppure in questo modo Guerriglia Live Show fa esplodere il potenziale corrosivo delle parole che danno origine allo spettacolo, e al contempo ne mette in luce il lato grottesco.

Ricco di citazioni filmiche fin dall’abbigliamento della band, Guerriglia Live Show fa pensare al teatro delle disillusioni creato da David Lynch in Mullholland Drive, pur “risintonizzato” su un’atmosfera radicalmente diversa, ironico-grottesca e in parte decisamente ludica. Se nel teatro di Lynch “no hay banda” e la voce della cantante spagnola che realmente piange è in realtà un’esecuzione in playback, qui siamo in presenza di un “live show” eseguito dal vivo ma recitato in differita, di uno slittamento nel tempo e nello spazio – o più semplicemente nell’indistinto flusso mediatico in un cui siamo immersi, unico “luogo” ancora in grado di reificare la realtà, attribuendole lo status di “fatto”. Tutto il resto, comprese le parole reali delle e-mail reali che hanno dato origine a questo spettacolo, sono altrove, come la realtà che le ha generate: relegate al di là dei confini tracciati dalla paura su cui si edificano le nostre società ipocondriache, talmente disabituate a guardare negli occhi dell’altro da restare stupiti nel constatarne semplicemente l’esistenza.


La danza dell’incontro che fa saltare gli schemi
Con la nuova produzione del Teatro delle Apparizioni di Roma e del Teatro dei Sassi di Matera andiamo su sponde completamente diverse. Il giocattolo con i fili è indubbiamente figlio dell'esperimento che la formazione romana aveva presentato al pubblico al Rialto Santambrogio con il titolo L’Omino di Carta, e successivamente al festival Teatri di Vetro con il titolo attuale.
In questa più ampia e complessa versione dello spettacolo, gli spettatori vengono introdotti in un ambiente di penombra e rilassatezza, dove una serie di omini scuri muovono luci, musiche, tecnologie, variando l’ambiente a seconda della situazione; mentre due bianchi “burattini di carne” si aggirano per lo spazio con il loro incedere disarticolato, di chi ha da poco perso i fili che lo tenevano legato e sta imparando per la prima volta a stare nella propria pelle. I burattini di carne cercano, guardano, a volte persino annusano e toccano, finché trovano l’autore della danza, il coreografo che finalmente farà danzare i burattini di carta, che attendono inermi al centro della scena. Ogni sequenza è il risultato di una variazione che solo in parte è in mano agli omini scuri, che possono passare da una musica lounge a una pop, da una luce tenue a una acida: il resto è indubbiamente frutto dell’incontro tra il burattino e chi lo anima.
Al centro dello spettacolo, recita la presentazione, c’è il mistero di una danza antica, in grado di risvegliare i burattini che attendono di essere animati. Ma la “danza antica” non è un contenuto che deve essere svelato, bensì un’alchimia che deve innescarsi, il deflagrare di una relazione tra burattini di carne e di carta, danzatori e coreografi; insomma, l’instaurarsi di un momento autentico di condivisione, in grado di scavalcare le barriere difensive che tengono lo spettatore al di là di un velo di maya che, di solito, si guarda bene dal sollevare.

Ma non bisogna pensare che lo spettacolo del Teatro delle Apparizioni e del Teatro dei Sassi sia l’ennesimo tentativo di sfondare la quarta parte: perché la quarta parete semplicemente non c’è, non è prevista. E con essa non è previsto il suo sfondamento, il tentativo forzoso di coinvolgere il pubblico in un meccanismo spettacolare preordinato. Parlare in questi termini del Giocattolo significa porre male il problema; lo spettatore scelto può scegliere di declinare l’invito, o di interpretare la danza nel suo modo del tutto peculiare, ma il centro della questione non cambia: se non c’è incontro, non c’è spettacolo. Se non c’è condivisione e apertura, neppure.
Il giocattolo con i fili è una tappa intermedia di un progetto di Danza del Mahabharata per uomini e burattini. Una tappa di un lavoro che, prima ancora che cercare di capire “cosa” dire cerca di inventarsi un modo per dirlo. Una modalità che è una lenta e progressiva costruzione di una relazione con l’altro, e in questo si riconnette a uno dei sensi più profondi che stanno alla base dell’arte teatrale, e nello specifico quello che al giorno d’oggi è il più politico: l’incontro.

L’attività degli omini (Massimo Lanzetta, omino delle musiche; Fabrizio Pallara, omino delle luci; Stefania Frasca, omino dello spazio; Simone Memè, omino dei video) e dei burattini di carne (Luciana Paolicelli e Giovanna Staffieri) è tutta volta a creare la dimensione per questo incontro. Così come lo è la voce del “Marinheiro”, sorta di spirito guida dell’intera operazione, che nella sua etimologia portoghese rimanda immediatamente all’omonima opera teatrale di Fernando Pessoa, Il marinaio, piéce dal tempo immobile e dall’atmosfera rarefatta, tutta incentrata sull’impossibilità di distinguere la vita vera dal sogno. Sul costante rimando tra l’una e l’altro. Sull’inevitabile rimozione che l’adesione totale all’una comporta verso l’altro.
E un continuo rimando, un continuo specchiarsi, è anche la piéce dei Sassi e delle Apparizioni: si entra in un teatro per vedere un teatro più piccolo dove si animano i burattini; i burattini di carta sono animati da persone in carne ed ossa, a loro volta sospinte da burattini di carne; si viene alla ricerca di qualcosa da conoscere, da apprendere, e ci si trova ad apprendere attraverso se stessi (e in alcuni casi persino ad insegnare…).

Ovviamente un simile “giocattolo” può portare anche a momenti di stallo o di incartamento. Può avere cadute di tensione, persino di interesse. Uscire dalle logiche spettacolari significa anche fare a meno di una “macchina oleata”, lanciarsi senza rete. Come già per il suo predecessore, del Giocattolo con i fili si può dire che starebbe bene dentro la tenda di un circo, con un pubblico curioso pronto a lasciarsi incantare come da una chiromante, ma altrettanto pronto a uscire e lasciare il suo posto a qualcun altro. Eppure, in questa versione più complessa, un elemento drammaturgico, un filo che ci porta da un momento all’altro, da un’incontro all’altro, c’è – anche se è fuori dalla scena. È la voce del “Marinheiro”, che interagisce con le danze e le commenta, che si fa didascalia per i presenti e salvifica forma di interlocuzione per i coreografi disorientati. Strumento scenico (potremmo dire “tecnico”) che nel suo usare la parola in modo improvvisato e antidrammaturgico, riesce invece a guardare dentro la drammaturgia, a far sì che essa guardi in se stessa e tiri fuori la sua essenza, al di là delle pastoie della retorica attraverso cui abitualmente si struttura, e che così facendo si scopra parola che racconta capace di portare realmente chi ascolta in un altro posto nello spazio e nel tempo.
«Se almeno potessimo gridare per svegliarci!», dice una delle vegliatici del dramma pessoiano. Nello spettacolo del Teatro delle Apparizioni e del Teatro dei Sassi, invece, l’unico modo per svegliarsi è continuare a sognare, a danzare.

In teatro:
Guerriglia Live Show
Venezia, S.a.l.e. Docks – all’interno di Multiversity, l’arte della sovversione. Venerdì16 maggio
Milano, Il Cantiere. Domenica 18 maggio.   
Bologna, T.P.O. Sabato 24 maggio.
Roma, Teatro Palladium – all’interno di Teatri di Vetro 2008. Sabato 31 maggio.

In teatro:
Il giocattolo con i fili
Andria (Ba), Palazzo Ducale – all’interno di Fiera d’Aprile. Sabato 26 aprile.