La copertina del libro dvd pubblicato da Bur
La copertina del libro dvd pubblicato da Bur
Un manifesto della campagna elettorale di Cuffaro
Un manifesto della campagna elettorale di Cuffaro

Anno 1 Numero 06 Del 11 - 2 - 2008
Mafioso a chi!?
“La mafia è bianca”, inchiesta tra i panni sporchi della sanità pubblica siciliana

Mariateresa Surianello
 
Colori intensi, carichi di rossi profondi, caravaggeschi. E quella luce che indugia oltre il tramonto a dipingere ancora, contro ogni prestabilito sprofondamento nel buio, un paesaggio rovente e possente. Sembrano la metafora di questa terra tormentata, ma non rassegnata, le lancinanti panoramiche palermitane che a tratti compaiono nel film documentario La mafia è bianca, uscito in dvd a novembre 2005 (da Bur senzafiltro, in cofanetto con l’omonimo libro) e tornato di grande attualità in questi giorni con la condanna di Salvatore Cuffaro per favoreggiamento personale di mafiosi. Sì, proprio lui, Totò Vasa Vasa (bacia bacia), esponente dell’Udc di Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, discusso governatore della Sicilia, finalmente dimessosi, dopo qualche estrema resistenza, è il protagonista del documentario di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini sui legami tra mafia e politica, in particolare, nella gestione della sanità regionale, la fetta più grossa della spesa pubblica. Ma è un primus inter pares Vasa Vasa, trovandosi affiancato da una ricca schiera di co-protagonisti, anch’essi medici chirurghi, molti dei quali processati e condannati. Da tale contesto prende forma l’attenta ricostruzione del duo giornalistico - di Sciuscià, come lo stesso Cuffaro subito stigmatizza. E, certo, la diretta parentela con quel programma televisivo, brutalmente interrotto dal famoso editto bulgaro di Silvio Berlusconi, è celebrata non tanto dal contributo di Michele Santoro in veste di prefatore del libro, ma quanto dal lavoro d’inchiesta compiuto da Bianchi e Nerazzini nella realizzazione di questo film utile e molto ben confezionato. Non è casuale quindi che all’indomani della condanna di Cuffaro, alcuni brani siano andati in onda per la prima volta sulla televisione di Stato proprio all’interno di AnnoZero, condotto da Santoro su Rai Due. C’è stata una sana e protettiva censura di mamma Rai, visto che i materiali dell’indagine sono scottanti e davvero inquietanti, tanto da togliere il sonno a incauti spettatori, ma ancor di più a quanti proseguono impunemente i propri traffici politico-affaristici non solo sull’Isola. Losche attività che la cattura di Bernardo Provenzano – avvenuta nell’aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza – non ha affatto smorzato. A riprova di una orizzontalità dei legami mafiosi, che si perpetrano al di là delle amputazioni dei bracci armati e violenti, in una zona diversa di una complessa struttura che non è detto abbia una forma piramidale.

Mentre in Calabria iniziano a piovere decine di arresti sulla testa di notabili locali – addirittura, tra questi potrebbe esserci il mandante dell’omicidio di Franco Fortugno (medico, vicepresidente del Consiglio regionale ucciso a Locri nell’ottobre del 2005) – nella vicina Sicilia le indagini della Magistratura sono andate molto avanti e i processi anche. E il film di Bianchi e Nerazzini, col montaggio di Andrea Mastronicola e Alessandro Principe, lo utilizza bene il lavoro dei giudici, ricostruendo l’intera nomenclatura dei mafiosi in camice bianco, Salvatore Aragona, Domenico Miceli... fino a Giuseppe Guttadauro, accertato capo del mandamento di Brancaccio, galeotto e tuttavia al centro di traffici per le candidature elettorali, nel cui salotto vengono scambiate con le dirigenze sanitarie di buona parte dell’Isola.
La matassa è ingarbugliata e sono bravi i due autori a rendere leggibile, tessera dopo tessera, un mosaico di relazioni raccapricciante. Brani di intercettazioni telefoniche e ambientali, spezzoni di processi e interviste in presa diretta sono cucite insieme dalla voce narrante, attraversata spesso da una venatura ironica, a sua volta sostenuta dalle musiche di Nicola Piovani, che accompagnano le immagini sottolineandone il flusso emotivo. Quando Cuffaro gira baciando di qua e di là le guance dei suoi elettori, torna puntuale il leit motiv di una marcetta che ricorda quella dell’escalation truffaldina del Medico della mutua di Alberto Sordi, e chissà che non sia voluto il richiamo musicale, forse per la tendenza del regista Luigi Zampa a denunciare la corruzione o forse per la collaborazione con Vitaliano Brancati. Quando invece si pongono le basi degli accordi mafiosi e la folgorante fotografia di Mauro Ricci e Marco Ronca regala splendide immagini di un mare tacito che si fa plumbeo, allora le note di Piovani alzano il livello drammatico dell’accadimento.

Non ci sono morti ammazzati in questo film, né stragi di mafia (vediamo Falcone ancora vivo, ospite di Costanzo nella staffetta con Samarcanda, era il 1991, per ricordare Libero Grassi, in quell’occasione il giovane Cuffaro prende il microfono e attacca le due trasmissioni, “è informazione mafiosa” - grida). Qui si presenta il trionfo dell’interesse privato e la morte del bene comune e si sancisce il fallimento della politica, la politica dei partiti. Trent’anni fa Enrico Berlinguer sollevava la questione morale, auspicando il rinnovamento dei partiti e la fine della commistione tra le loro funzioni e quelle dello Stato. Il male sta in questo concatenamento – diceva il segretario del Partito Comunista – da qui sono sorti “tutti i fenomeni degenerativi”, nella vita pubblica e nei partiti. Era convinto Berlinguer si potessero coniugare etica e politica, dentro le maglie strette dettate dall’economia, un binomio inconciliabile già per Max Weber.
Se nel processo contro Michele Aiello (e altri 13), l’ingegnere che aveva accumulato soldi asfaltando stradine interpoderali e il cui nome era già scritto su un pizzino trovato nelle tasche di Totò Riina nel 1993, divenuto il re delle cliniche private siciliane (è sua Villa Santa Teresa a Bagheria, polo d’eccellenza per la diagnosi e cura dei tumori, che vale 10 milioni di euro, messi a disposizione da Provenzano), torna il nome del presidente dell’Amministrazione regionale e del suo enturage la convivenza sociale ha collassato. La mafia si è fatta Stato. Allora, serve come atto di pulizia la mozione di sfiducia contro Totò Cuffaro, presentata da Francesco Forgione (era all’opposizione nella Giunta siciliana, oggi è presidente della Commissione Antimafia di questa legislatura già esaurita). Ma serve andare nel mercato di Bagheria, dove i volti segnati dal disagio si mostrano alla luce del sole e senza speranza ripetono al microfono di Bianchi e Nerazzini che i mafiosi sono bravi cristiani. Sono i benefattori del popolo reietto... che si sta recando nuovamente alle urne.